Progetto Mare: la competitività dell’economia del mare in una prospettiva di sviluppo del Paese e di autonomia strategica europea
L’intervento del Presidente di Confindustria Veneto Enrico Carraro in occasione della presentazione del Progetto Mare di Confindustria.
La blue economy o filiera del mare comprende un vero e proprio mondo: dal comparto della movimentazione di merci e persone a quello della filiera ittica; da quello della cantieristica, a quello dell’alloggio e ristorazione; da quello della ricerca e tutela ambientale, a quello dell’estrazione marina…e molto altro ancora. Tutto questo, nel solo NordEst vale oggi circa 27 miliardi di Euro, che corrisponde al 7,4% del valore Paese.
In molti hanno anche di recente osservato come l’Italia deve recuperare la coscienza propria di una nazione costiera, e guardare con un progetto strategico al Mediterraneo come nuovo terreno di opportunità economiche. Dal 2009, infatti, è cresciuta la quota di movimentazione su rotte interregionali e nord sud, con il baricentro medio che si sposta da Gibilterra verso est, in direzione del mediterraneo centrale e dell’Italia. L’economia del mare vale 44 miliardi di euro di valore aggiunto e gli scambi commerciali raggiungono valore di 249 miliardi. In questo perimetro, i tre grandi cluster portuali e logistici, Ovest (Liguria e Toscana) Est (Veneto FVG e Emilia Romagna) e Sud (Calabria Puglia e Sicilia), hanno un ruolo fondamentale per lo sviluppo economico dell’intero territorio nazionale.
Le condizioni affinché in questo quadro il Nordest possa svolgere un ruolo importante sono sostanzialmente tre:
La prima è che consolidi lo stato di cluster del mare, mettendo a disposizione un network reale e dialogante tra tutti i players di cui dispone. Si pensi solo ad un dato geografico e ad uno economico. Il dato geografico è che tutta l’area costiera alto-adriatica (Trieste, Venezia, Ravenna) è comparabile sui dati principali con l’attuale area operativa del porto di Rotterdam: il che ci fa capire l’importanza di percorsi di cooperazione permanente tra i vari porti e retroporti, da Trieste a Rimini. Il dato economico è relativo allo sfatare una competizione entrata nell’immaginario collettivo e del tutto fuorviante, che è quella tra i porti di Trieste e Venezia. Le statistiche, infatti, ci dimostrano che questi sono in realtà porti complementari: nel mercato dei container, ad esempio, i mercati di riferimento sono diversi; Trieste è poi specializzata nel greggio (40 milioni di tonnellate) e nei ro-ro (8 milioni di tonnellate), mentre Venezia nelle rinfuse solide (7 milioni di tonnellate) ed in quelle liquide raffinate (9 milioni di tonnellate). La vera competizione in Alto Adriatico si gioca rispetto a Capodistria e Fiume, per motivi di tariffe e di accesso, nei confronti dei quali si sta purtroppo da qualche tempo perdendo terreno. Ci si impegni e si investa, dunque, sulle complementarietà e sulla trasformazione di quest’area strategica in un vero e proprio cluster, come di recente è stato annunciato sul versante NordOvest.
La seconda condizione è che si investa sul fronte di logistica ed intermodalità, intrecciando maggiormente porti e retroterra produttivi. Un dato dovrebbe farci riflettere: Il primo interporto d’Europa è da anni Quadrante Europa, a Verona; ma tra le prime 10 aree logistiche (i cd.” porti secchi”) figurano Padova (7 posto) e Bologna (8 posto): a ciò si aggiunga che il retroterra produttivo e manifatturiero di quest’area del Paese è tra i più rilevanti a livello europeo. Ciò che si deve fare, soprattutto tramite la semplificazione normativa e la digitalizzazione, è creare un coordinamento istituzionale e strutturale tra i punti di snodo, evitando l’attuale individualismo. A questo si affianca l’ormai conclamata necessità di fare maggiore ricorso alla intermodalità: per uso di km ferroviari il Friuli VG è al primo posto in Italia, mentre il Veneto è al quarto posto.
La terza condizione è che si riesca ad attrarre capitali internazionali disposti ad investire su quest’area geografica. Cosa possibile, se il sistema logistico portuale e la rete intermodale gomma/ferro funziona ed è reale elemento di competitività. Segnalo che gli incentivi fiscali e di semplificazione procedurali previsti dall’ottenimento del riconoscimento di Venezia e Rovigo quali Zona Logistica Speciale sono importantissimi nella misura in cui aumentino le opportunità proprie del territorio, che passa anche dalla reale interoperabilità tra strutture logistiche e aree di produzione industriale. Le ZES e ZLS, al di là dei nomi, sono strumenti di sviluppo economico se hanno un approccio complessivo alle opportunità offerte dai territori, incidendo sulle criticità non solo burocratiche e amministrative o su alcuni costi… E su questo punto sarà necessario creare un circolo virtuoso, mettendo a sistema di un progetto complesso di sviluppo le risorse previste dal PNRR e dalla nuova Politica di Coesione 2021-27 (quest’ultima da sola porterà nel Veneto più di tre miliardi di sovvenzioni).
Per il Nord Est serve quindi un cambio di prospettiva, creando un vero e proprio cluster logistico del NordEst (già ora accreditato di poco meno di 1000 milioni di Tonnellate di merci movimentate) ed accelerando sul percorso della integrazione del sistema logistico. Il potenziale del sistema Nord Adriatico è davvero rilevante e dovrebbe sfruttare maggiormente i ben 10 grandi corridoi europei che in qualche modo lo interessano, collegandolo all’UE verso Nord e verso Est, per valorizzare certamente l’import/export ma soprattutto la parte di trasformazione manifatturiera che permette di creare e distribuire al territorio il valore aggiunto che ne scaturisce.